#AcquaSporca, in Calabria la velenosa vicenda del caso Alaco



BREVE CRONISTORIA DEL CASO ALACO

1978: approvato il progetto di realizzazione dell’invaso artificiale dell’Alaco, in provincia di Vibo Valentia, che attualmente rifornisce di acqua potabilizzata 88 comuni delle Province di Catanzaro e Vibo Valentia, per un totale di circa 400 mila abitanti;

1985: termine dei lavori, dopo ben nove sospensioni e sei perizie di varianti, e nonostante vizi procedurali di ogni sorta (come ad esempio la mancanza di nullaosta paesaggistico e di VIA, almeno stando a interrogazioni parlamentari presentate gli anni seguenti a cui mai il governo diede risposta);

2002: l’iter così convulso ha determinato un aumento esponenziale dei costi. La Corte dei Conti, sezione regionale, ha accertato un danno erariale di 68.505.369,28 euro;

Marzo 2012: inchiesta giudiziaria denominata “Ceralacca” condotta dalla DDA di Reggio Calabria rivela un legame criminale tra la Sorical (società che gestisce il servizio idrico calabrese. A capitale misto, pubblico/privato, detenuto per il 53,5 per cento dalla regione Calabria e per il 46,5 per cento da Veolia-General des Eaux, multinazionale francese) e esponenti della ‘ndrangheta. L’indagine, infatti, portò in carcere nove persone, alcune delle quali legate a cosche di ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro e tre funzionari del gestore SoRiCal, con accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere, turbata libertà degli incanti, corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio;

17 Maggio 2012: i carabinieri del Nas di Catanzaro sequestrano l’invaso e l’impianto di potabilizzazione, compresi gli apparati idrici dello schema d’acquedotto, con 26 indagati tra dirigenti e tecnici del gestore SoRiCal, responsabili di aziende sanitarie provinciali, dirigenti regionali e dell’Arpacal, formulando la procura di Vibo Valentia ipotesi di avvelenamento colposo e inadempimento di contratto di frode in pubblica fornitura (inchiesta “Acqua Sporca”);

6 dicembre 2012: l’Arpacal preleva dei campioni in uscita dall’impianto, da cui emerge la presenza di benzene nell’invaso, con un valore 800 volte superiore alla norma;

29 gennaio 2013: solo ora - oltre un mese dopo - vengono resi pubblici i risultati;

30 gennaio 2013: l’Arpacal dichiara che “per un mero errore di trascrizione, nelle acque dell’Alaco non è presente benzene ma, piuttosto, composti aromatici alogenati derivati dal benzene”, aggiungendo che i medesimi non sono previsti nella tabella degli elementi indicati dal decreto legislativo n.31 del 2001. Per l’Arpacal, dunque, pericolo non c’è;

Febbraio 2013: il biologo Silvio Greco dichiara a Il Quotidiano della Calabria che sul piano scientifico la formula di giustificazione dell’Arpacal sarebbe vaga e nel campione del 6 dicembre scorso potevano esserci, in realtà, sostanze più pericolose del benzene;

16 aprile 2013: la parlamentare Dalila Nesci presenta due interrogazioni parlamentari. Nella prima si ricostruiva tutta l’intera vicenda dell’invaso (questa firmata anche da Paolo Parentela, Federica Dieni e Sebastiano Barbanti). Eloquente che in questa già si chiedeva al presidente del consiglio, al ministro della salute e della giustizia “quali misure ritengano opportune, alla luce dei fatti esposti, a tutela della salute della popolazione e della salvaguardia dell'ambiente” e “se non ritengano necessari interventi per la chiusura dell'invaso, in attesa delle verifiche circa i sedimenti e previa predisposizione, secondo competenze, di un piano per un diverso approvvigionamento idrico dei comuni finora serviti”. La seconda interrogazione era invece diretta a denunciare minacce a atti intimidatori nei confronti di Sergio Gambino, uno dei referenti più riconosciuti dell'associazionismo nella provincia di Vibo Valentia, in quanto esposto sul fronte antimafia e sul tema dell'acqua bene comune, compresa la lunga vicenda dell'invaso dell'Alaco;

6 giugno 2013: intervento della parlamentare Dalila Nesci in Aula durante il quale si ricordava al governo l’interrogazione presentata (visto che intanto non aveva mai ricevuto risposta) e si facevano pressioni in tal senso;

7 Novembre 2013: internvento del parlamentare Paolo Parentela in Aula per denunciare le minacce ricevute all'associazione "Compresi gli Ultimi" che ha condotto battaglie sulla vicenda Alaco: "Atto intimidatorio o semplice vandalismo?!" - ribadisce il deputato in aula -  La loro violenza non metterà fine alle lotte di quei cittadini calabresi che sono stanchi di piegarsi alle logiche mafiose che pervadono la nostra Regione.

7 aprile 2014: la procura di Vibo Valentia comunica la chiusura delle indagini e la notifica gli avvisi di garanzia per 36 indagati, accusati di avvelenamento colposo di acque, inadempimento di contratti di pubbliche forniture, omissione in atti d’ufficio e interruzione di un servizio di pubblica utilità. Sequestrati inoltre l’invaso dell’Alaco e l’impianto di potabilizzazione in quanto i trattamenti in atto potrebbero, ad avviso degli inquirenti, risultare non idonei. Quanto alla rete di distribuzione dell’acqua, la Procura ha proceduto al dissequestro dei soli impianti che allo stato non risultano utilizzati, confermando invece il sequestro per gli altri impianti in quanto anche nei siti con giudizio di conformità emesso dall’autorità sanitaria, i custodi giudiziari avrebbero rilevato la persistenza di visibili criticità.


L’INCHIESTA “ACQUA SPORCA”

Secondo quanto reso noto dalla procura di Vibo Valentia, il 7 aprile si sono concluse le indagini preliminari e sono stati notificati gli avvisi di garanzia a 36 persone, indagate per i seguenti reati:
  • inadempimento di contratti di pubbliche forniture;
  • avvelenamento colposo di acque;
  • false attestazioni commesse da persone esercenti un servizio di pubblica necessità;
  • interruzione di un servizio di pubblica necessità;
  • omissioni in atti di ufficio;
  • i livelli dell’ acqua e i controlli effettuati senza rispettare la legge

Dopo due anni di indagini (il 17 maggio 2012 era stato sequestrato preventivamente l’invaso), la procura è arrivata alla conclusione che le acque dell’Alaco non possono formalmente essere dichiarate in categoria A3 e, di conseguenza, “i trattamenti di potabilizzazione potrebbero risultare non idonei”.
Bisogna infatti tener presente che l’acqua per uso potabile è classificata con una A, seguita da un numero fino a 4. Questa scala ha A3 come livello di allerta e A4 come livello di non potabilità in alcun modo.
Secondo la procura, inoltre, quando hanno classificato l’Alaco in A3 nel piano di tutela delle acque della Regione, non hanno rispettato il decreto 152/99, perchè avrebbero dovuto e potuto campionare nel lago, invece hanno esaminato l'acqua di due ruscelli, due affluenti del lago. Quindi sono i ruscelli ad essere A3, non il lago. Ma l'acqua da potabilizzare la prendono dal lago, e c'è una differenza certamente enorme rispetto ai ruscelli. Dunque, l'acqua del lago non si sa se sia davvero A3 o no.
Non solo. Per stabilirlo legge vorrebbe che si faccia un campionamento e analisi nell’arco di almeno un anno. Il ctu (consulente tecnico d’ufficio) invece ha fatto le analisi su un campione prelevato a novembre scorso, e ha detto che in base a quello l’acqua dell’Alaco è A3. In realtà, però, non si può dire con certezza perché, come detto, ci vorrebbero le analisi di un anno.
In conclusione, formalmente la Procura non dice che l'acqua del lago non sia A3, ma dice che non è stato possibile accertarlo. E che quando l'hanno classificato come A3 non hanno rispettato la legge (“la definizione dello stato di qualità ambientale delle acque dell’invaso è stato operato senza rispettare quanto previsto dal dettato del decreto legislativo 152/1999”).
È evidente, però, che il rischio che l’acqua del lago sia oltre il livello A3 c’è dato che, rispetto ai ruscelli, questa è stagnante, quindi dovrebbe essere peggiore.



I sequestri  
Ecco perché la Procura – le indagini sono state coordinate dal procuratore capo Mario Spagnuolo e dal pm Michele Sirgiovanni e condotte sul campo dagli uomini del Nas di Catanzaro e del Corpo Forestale dello Stato di Vibo – ha anche confermato il sequestro del lago artificiale e del relativo impianto di potabilizzazione che si trova sul monte Lacina, nel territorio al confine tra i Comuni di Brognaturo (Vv) e San Sostene (Cz). Tra gli impianti dislocati nella rete di distribuzione dei singoli Comuni, sono stati invece dissequestrati solo quelli che attualmente non risultano essere utilizzati e per i quali, secondo la Procura, non si ravvisa la necessità di attività migliorative. Gli altri, invece, rimangono sotto sequestro, perché i sopralluoghi effettuati dai carabinieri del Nas hanno fatto emergere “anche nei siti assistiti da un giudizio di conformità emesso dall’autorità sanitaria, la persistenza di situazioni di criticità visibile”.

L’altro filone dell’inchiesta
Altro filone dell’inchiesta - ancora non concluso -  riguarda soldi che sarebbero stati versati in Regione per taroccare le analisi, con responsabilità di un privato, cui erano state commissionate le indagini scientifiche (società Nautilus). Il volume di denaro sborsato dalla Regione è stato di 15 milioni di euro. Si parla, dunque, di spreco di risorse pubbliche.

Gli indagati
- inadempimento di contratti di pubbliche forniture per Sergio Abramo (già presidente del consiglio di amministrazione della Sorical e sindaco di Catanzaro), Giuseppe Camo (già presidente del consiglio di amministrazione della Sorical) e Maurizio Del Re (già amministratore delegato della Sorical) perché “facevano mancare acqua idonea all’uso umano”;
- avvelenamento colposo delle acque per Sergio Abramo, Giuseppe Camo, Maurizio Del Re, Sergio Marco (già direttore generale tecnico della Sorical), Giulio Ricciuto (già responsabile del Compartimento area Centro e degli impianti di potabilizzazione della Sorical), Ernaldo Antonio Biondi (già responsabile dell'Ufficio Sorical per la zona di Vibo Valentia), Vincenzo Pisani (già addetto al Servizio interno analisi di laboratorio della Sorical), Massimiliano Fortuna (capo gruppo dell'impianto di potabilizzazione dell'Alaco) perché “determinavano l’avvelenamento delle acque destinate alla popolazione residente nei comuni di Vibo Valentia, Serra San Bruno, Sorianello, Acquaro, Gerocarne, Brognaturo, Simbario, Vallelonga, Dinami, Pizzoni, Arena-Sant’Onofrio, Mongiana, Stefanaconi, Dasà, Fabrizia, Nardodipace, Soriano e Vazzano, rendendo l’acqua potenzialmente nociva alla salute”;
- avvelenamento colposo delle acque per Domenico Criniti (già sindaco pro tempore di Santa Caterina dello Jonio ,Cz) perché “con colpa specifica revocava […] l’ordinanza di non potabilità da lui stesso emessa, senza aver ottemperato al giudizio di non idoneità dell’acqua emesso dall’Asp di Catanzaro, determinando, a carico dei cittadini di Santa Caterina dello Jonio, un pericolo per la salute pubblica scaturito dall’accertata presenza nell’acqua potabile di sostanze pericolose”;
- false attestazioni commesse da persone esercenti un servizio di pubblica necessità per Ernaldo Antonio Biondi perché “attestava falsamente mediante la nota del 16 agosto 2010 […] che il giorno precedente si era verificato un difetto all’impianto di disinfezione presso l’impianto di potabilizzazione dell’Alaco”;
- interruzione di un servizio di pubblica necessità per Giulio Ricciuto, Pietro Lagadari (assistente ai lavori di manutenzione della Sorical), Domenico Lagadari (operaio generico della Sorical) poiché “provocavano intenzionalmente un ritardo nell’intervento dei carabinieri del Nas finalizzato alla rimozione da parte del Lagadari Domenico di sostanza schiumosa dalla superficie dell’acqua […] turbando quindi il regolare svolgimento dell’accertamento”;
- omissioni in atti di ufficio per Fabio Pisani (già responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune di Serra San Bruno) e Roberto Camillen (già responsabile del Settore manutentivo del Comune di Serra San Bruno) perché “omettevano di predisporre ed effettuare opere di manutenzione ordinaria e straordinaria all’interno dei serbatoi di acqua potabile di proprietà del comune di Serra San Bruno”;
- omissioni in atti di ufficio per Francesco Catricalà (già dirigente dell'Unità operativa Igiene del distretto dell'Asp di Soverato), Cesare Pasqua (già direttore del Dipartimento di prevenzione dell'Asp di Vibo), Fortunato Carnovale (già dirigente dell'Unità operativa di Igiene dell'Asp di Vibo) perché “indebitamente omettevano di predisporre le procedure relative ai controlli esterni sui serbatoi di accumulo di acqua destinata all’uso umano”, nonché “omettevano di predisporre il giudizio di qualità e idoneità dell’acqua all’uso umano”;
- omissioni in atti di ufficio per Beniamino Mazza (già direttore del Dipartimento dell’Arpacal di Vibo Valentia) perché “indebitamente ometteva di predisporre le corrette procedure relative ai controlli sull’acqua superficiale dell’invaso dell’Alaco […] predisponendo un solo campionamento di acqua superficiale a fronte di 12 prelievi annuali, nelle diverse stagionalità, previsti dalla normativa”;
- omissioni in atti di ufficio per Giacomino Brancati, Silvana De Filippis, Rosanna Maida (ex dirigenti della Regione) perché “avendo riscontrato il sussistere di problematiche relative all’acqua potabile nel territorio di Vibo Valentia, indebitamente omettevano di esercitare i poteri sostitutivi in caso di inerzia delle autorità locali”;
- omissioni in atti di ufficio per Pasquale Fera (già sindaco di San Nicola da Crissa), Francesco Bartone (già sindaco di Soriano), Giuseppe Schinella (già sindaco di Arena), Afonsino Grillo (già sindaco di Gerocarne e consigliere regionale), Paolo Crispo (già sindaco di Gerocarne), Antonino Mirenzi (già sindaco di Vazzano), Francesco Andreacchi (sindaco di Simbario), Rosamaria Rullo (già sindaco di Mongiana), Abdon Servello (già sindaco di Vallelonga), Cosmo Tassone (già sindaco di Brognaturo), Gabriele Corrado (già sindaco di Dasà), Saverio Franzè (già sindaco di Stefanaconi), Giuseppe Barilaro (già sindaco di Acquaro), Sergio Cannatelli (già sindaco di Sorianello), Romano Loielo (sindaco di Nardodipace), Raffaele Loiacono (già sindaco di Serra San Bruno) per “aver omesso ogni attività relativa ai controlli interni nei comuni rispettivamente amministrati”.


Interrogazione del M5S sul gestore Sorical (30 gennaio 2014)

-  le tariffe applicate dalla Sorical sono anticostituzionali
- la Corte dei conti aveva “ammonito” la Sorical a causa di un'erronea conversione lire/euro nel prezzo dell'acqua (che ne aveva determinato un aumento dei prezzi tra l'1 ed il 3%).

L’aumento delle tariffe “inquina” gravemente i bilanci sia della Sorical e dei 391 comuni “allacciati” all'acquedotto regionale.
I Comuni, infatti, sono strozzati dal patto di stabilità e iscrivono in bilancio debiti nei confronti della Sorical superiori a quelli che dovrebbero essere. Debiti che si ripercuotono sulle casse comunali e su quelle dei cittadini, “consumatori finali” del prodotto.
La Sorical, per quanto abbia – iscritti – in Bilancio diversi crediti esigibili nei confronti dei comuni, ha in realtà avuto sempre un problema di liquidità, in quanto i comuni sono spesso in ritardo nei pagamenti. Questi ritardi sono spesso sfociati in una riduzione del servizio da parte di Sorical.

Il punto “politico” della faccenda è che si instaurato un meccanismo del “cane che si morde la coda”. Infatti la Sorical spesso non è riuscita a far fronte al pagamento verso i propri fornitori (Enel su tutti) o addirittura al pagamento degli stipendi verso i propri lavoratori. I comuni, nel frattempo, devono rivalersi verso i cittadini, aumentando i costi della fornitura del servizio idrico o, per rientrare nel patto di stabilità, tagliando altri servizi.

Fin quando la gestione del servizio idrico sarà affidata ad una società privata, la logica del profitto interverrà in maniera evidente sulla qualità del servizio stesso; spesso a danno dei cittadini. La prova di questo è proprio nel “caso Alaco”. Nel vibonese, infatti, prima che la fornitura avvenisse sfruttando l'invaso, l'acqua veniva portata nelle case dei cittadini attraverso un sistema di canalizzazione (costruito negli anni '60) che sfruttava i parecchi pozzi presenti nella zona delle serre calabresi. Il sistema, soprattutto nelle stagioni estive, funzionava però a singhiozzo, garantendo al gestore introiti inferiori rispetto ad oggi, a causa della inefficienza dal punto di vista quantitativo della struttura.
Oggi, invece, l'invaso è in grado di fornire una quantità di acqua di molto superiore, garantendo la massima efficienza dal punto di vista quantitativo alla popolazione. Ciò garantisce ai comuni serviti dall'invaso una fornitura costante di acqua e un aumento esponenziale dei costi (il solo comune di Serra San Bruno paga circa 250mila euro all'anno per la fornitura del servizio).
La stessa logica del profitto e l'erronea applicazione delle tariffe ha portato ad “inquinare” anche i bilanci (a scalare) della Regione Calabria (essendo socio di maggioranza della Sorical), dei comuni serviti dalla Sorical stessa fino ad arrivare al bilancio familiare di ogni singola famiglia che utilizza un servizio che dovrebbe essere pubblico. A quanto ammonta il danno erariale di tutto ciò?
La Sorical ha una gestione fallimentare non solo dal punto di vista strettamente economico (ed il fatto che la società sia in liquidazione ne è la prova inconfutabile), ma appare innanzitutto come l'ennesimo sistema clientelare che garantisce alla politica calabrese il perpetuarsi di note logiche. Dimostrazione di tutto ciò sono le diverse indagini in corso che hanno riguardato molti dirigenti Sorical, soprattutto nella gestione degli appalti relativi agli acquedotti (ad esempio le operazioni Ceralacca 1 e 2  che hanno portato all'arresto di diversi dirigenti Sorical insieme agli imprenditori che beneficiavano, in un sistema di tangenti, dei favori).
Altro magnifico esempio è la nomina a presidente del cda di Sergio Abramo (ora ex presidente) che, nelle vesti di Sindaco di Catanzaro, riesce a ricoprire contemporaneamente il ruolo di debitore e creditore. Debitore nelle vesti di Sindaco e creditore nelle vesti di Presidente del cda. Un conflitto d'interessi di proporzioni inaudite, soprattutto se si considera che sia il debito del Comune di Catanzaro che il credito vantato da Sorical, sono pesantemente inquinati da una tariffa decisa attraverso metodi anticostituzionali (come deciso dalla corte costituzionale) e più alta del normale (come sancito dalla Corte dei conti).


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